DAL METODO MONTESSORI ALLA TEORIA DELL'ATTACCAMENTO.
- Cinzia Alagna
- 24 set 2020
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 23 dic 2020
La Figura Di Riferimento Come Promotrice Di Uno Sviluppo Ottimale.

La psicologia dell’età evolutiva ha dedicato, negli ultimi trent’anni, una crescente attenzione alle prime fasi dello sviluppo sottolineandone la precocità di molte acquisizioni. Si è scoperto che il bambino, fin dai primi momenti di vita, è competente ed attivo nei confronti dell’ambiente circostante, e dotato di capacità proprie (Bowlby 1969/1982, 1973, 1980). Nello sviluppo affettivo e cognitivo del bambino viene riconosciuta grande importanza al ruolo che possono svolgere le figure con cui il bambino quotidianamente sperimenta occasioni di contatto. Gli studi più recenti, infatti, pongono sempre più enfasi non solo sulle esperienze che il bambino vive all'interno della relazione primaria con il genitore ma anche sulla qualità del legame che si instaura con l'educatrice (Groeneveld, Vermeer, Van IJzendoorn & Linting, 2010). Se da una parte il metodo Montessori fornisce indicazioni fondamentali sulla modalità in cui il bambino acquisisce nuove conoscenze (Montessori, 1999), dall'altra la teoria dell’ attaccamento (Cassidy & Shaver, 2008) permette di comprendere come l’educatrice possa costituire una figura capace di provvedere ai bisogni non solo cognitivi ma anche emotivi del bambino.
“Dire che un bambino è attaccato a, o dire che ha un attaccamento con, equivale a dire che egli è fortemente predisposto a ricercare la vicinanza e il contatto con una specifica figura di attaccamento e fa ciò in particolari situazioni più specificamente quando si sente angosciato, spaventato, stanco o malato” (Bowlby, 1969/1982, p. 371)
L’attaccamento si connota, dunque, come un sistema motivazionale innato, a base biologica, ossia come una risorsa psicologica di cui sono dotati tutti gli individui, attraverso la quale una serie di bisogni fondamentali vengono gestiti in funzione della realizzazione di un obiettivo o di una meta. Non si tratta, tuttavia, di un sistema volto a regolare l’intera area delle relazioni sociali, bensì di un sistema ad alta specificità, che coinvolge le relazioni affettivamente significative, con lo scopo di ricercare la sicurezza protettiva (Barone & Bacchini, 2009). Alla base del legame di attaccamento vi è il sistema comportamentale di attaccamento, caratterizzato da una serie di comportamenti che hanno la funzione di garantire la vicinanza alla figura di attaccamento; tra questi troviamo, ad esempio, il pianto, i vocalizzi e, in fasi più avanzate dello sviluppo, la locomozione. Tali segnali facilitano l’attivazione del sistema di cure nell’adulto, permettendo al bambino di ricevere conforto e protezione. Una volta che il bambino avrà raggiunto la vicinanza con la figura di attaccamento e avrà visto soddisfatti i suoi bisogni emotivi, tale sistema si disattiverà per lasciar posto ad un altro sistema complementare a quello di attaccamento, il sistema di esplorazione. L’equilibrio tra i due sistemi (attaccamento – esplorazione) è alla base di uno sviluppo psico-fisico armonico del bambino. L’adulto, dunque, svolge un ruolo importante nel permettere la regolazione tra i due sistemi: è proprio la figura di attaccamento, infatti, che permette il disattivarsi del sistema di attaccamento a favore del sistema di esplorazione, svolgendo cosi la funzione di “base sicura” (Ainsworth, 1963).
Le diverse configurazioni d’attaccamento rappresentano dunque diversi modi di gestire l’emotività, esito di quanto e come la figura d’attaccamento è stata emotivamente disponibile. In generale, se il caregiver si è dimostrato equilibrato nelle pratiche di accudimento, costante e affettivamente flessibile nell’offerta emotiva avremo lo sviluppo di un pattern sicuro e di un sistema di regolazione che può spaziare con una certa libertà nell’intera gamma dell’esperienza emotiva (sia di natura positiva che negativa) senza perdere la propria organizzazione. Se invece il caregiver è stato prevalentemente poco disponibile o disponibile in maniera non costante avremo lo sviluppo di un pattern insicuro, in cui la regolazione emotiva è veicolata da specifiche regole implicite atte a mantenere il legame. Egli infatti potrebbe coltivare l’idea che per mantenere una relazione (che negli anni a seguire sarà di tipo amicale, sociale o affettiva con un partner) sia necessario restare “incollati” all’altro, lamentarsi, mostrare segnali di malessere fisico (attaccamento insicuro ambivalente) o al contrario che sia utile non mostrare totalmente sé stessi, il proprio lato “debole”, la propria emotività, restando distaccati e “pratici" (attaccamento insicuro evitante). Dal punto di vista delle educatrici di asilo nido, i legami di attaccamento sicuro con

i bambini permettono di aumentare l’efficacia educativa e l’efficienza del proprio operato. La costruzione di un legame di attaccamento sicuro inizia dal primo giorno in cui il bambino entra nell'asilo nido e la teoria dell'attaccamento ci suggerisce alcune strategie che possono facilitare questo processo. Il primo elemento da tenere a mente è quello della disponibilità in termini di presenza e soddisfacimento dei bisogni fisici ed emotivi. Il problema che le educatrici si trovano ad affrontare in questo senso consiste nel fatto di essere disponibili contemporaneamente a 6 o più bambini. Una soluzione possibile è quella di focalizzarsi, a turno, su ogni singolo bambino (attraverso il contenimento fisico o mantenendo un contatto oculare per un periodo sufficientemente lungo), dando un po' più di tempo a chi ne ha più bisogno. È importante inoltre porre attenzione ai segnali dei bambini, sintonizzandosi con essi in modo da percepire i bisogni nascenti che possono essere di tipo fisiologico o socio-affettivo (come la richiesta di contatto o vicinanza), interpretarli correttamente e rispondervi in maniera adeguata e contingente. La prontezza nella risposta è inversamente proporzionale allo sviluppo dei bambini: immediata per i lattanti di pochi mesi, più dilazionata via via che i bambini imparano a controllare la propria frustrazione. La coerenza nella risposta parte dall’attenzione dedicata al feedback che l'educatrice riceve dal bambino quando inizia la risposta stessa. È importante per le educatrici ricordare sempre che gran parte dei bisogni dei bambini sono espressi da piccoli segnali come suoni, gridolini, espressioni facciali, azioni e gesti (come alzare la testa e girarla verso loro) a cui si può rispondere in modo rapido attraverso il contatto oculare, il sorriso, la verbalizzazione con il nome proprio del bambino (adeguata alla situazione), gesti di disponibilità fisica (girarsi con il busto, aprire le braccia, avvicinarsi o farlo avvicinare), attenzione congiunta. La risposta al bisogno del bambino deve avvenire con una interazione tra educatrice e bambino che sia coinvolgente, calda e umana, positiva e responsiva. Se il bambino è abituato a un piccolo rituale, l’educatrice dovrebbe seguirlo (un classico esempio è il cambio dovuto a “incidenti”). Utile è l'uso di verbalizzazioni di apprezzamento e di incoraggiamento. Fondamentale è il fatto che l'intervento delle educatrici non deve mai interferire con il desiderio del bambino di esplorare o esprimersi. L’intervento diretto delle educatrici può essere limitato ai casi in cui il bambino rischi la propria incolumità fisica o il conflitto con un pari stia degenerando. Un appunto interessante riguarda l’utilizzo dell’attenzione congiunta: in questo caso le educatrici dovrebbero rispecchiare e incentivare le intenzioni di gioco del bambino che le ricerca. Naturalmente bisogna stimolare ciascun

bambino secondo le sue capacità, facendo attenzione al suo temperamento e alle competenze già acquisite. In questo modo si permette al bambino di allontanarsi dall'educatrice attraverso un'esplorazione a lui più congeniale. Infine è fondamentale che l'educatrice rinforzi positivamente i primi tentativi di "base sicura" che il bambino inizia a mostrare. Ad esempio lasciare che si allontani spontaneamente e incoraggiarlo alla partenza, seguirlo con lo sguardo, sorridendo, e stabilire un contatto oculare ogni qual volta il bambino cerca l’educatrice. La possibilità di conoscere e padroneggiare i presupposti teorici della teoria dell’attaccamento rappresenta dunque un valore aggiunto rispetto al metodo Montessori, già ampiamente diffuso in ambito educativo, in quanto permette all’educatrice di organizzare una strategia più adeguata per favorire un ottimale sviluppo socio-emotivo del bambino.
* Questo articolo è stato pubblicato su MoMo (2016), vol.8 pag. 23.
Ainsworth, M. D. S. (1963). The development of infant-mother interaction among the Ganda. In B. M. Foss (Ed.) Determinants of infant behaviour: Vol.2 (pp. 67-112). New York: Wiley. Trad. it. Lo sviluppo dell'interazione madre-bambino tra i Ganda. In M. D. S. Main (Ed.) Modelli di attaccamento e sviluppo della personalità (pp. 91-140). Milano: Raffaello Cortina Editore, 2006.
Barone, L. & Bacchini, D. (2009). Le emozioni nello sviluppo relazionale e morale. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Bowlby, J. (1969/1982). Attachment and loss: Vol. 1: Attachment. New York: Basic Books. Trad. it. Attaccamento e perdita. Vol. I: L'attaccamento alla madre: Seconda edizione riveduta e ampliata. Torino: Bollati Boringhieri, 1999.
Bowlby, J. (1973). Attachment and loss: Vol. 2: Separation. New York: Basic Books. Trad. it. Attaccamento e perdita. Vol. II: La separazione dalla madre. Torino: Bollati Boringhieri, 2000.
Bowlby, J. (1980). Attachment and loss: Vol. 3: Loss. New York: Basic Books. Trad. it. Attaccamento e perdita. Vol. III: La perdita della madre. Torino: Bollati Boringhieri, 2000.
Cassidy, J. & Shaver, P. R. (a cura di) (2008). Handbook of Attachment. Theory, Research, and Clinical Applications (2nd ed.). New York, NY: The Guilford Press Inc.. Trad. it. Manuale dell'attaccamento. Teoria, ricerca e applicazioni cliniche. Roma: Giovanni Fioriti Editore, 2010.
Groeneveld M. G., Vermeer H. J., Van IJzendoorn M. H., Linting M. (2010). Stress, cortisol, and well-being of caregivers and children in home-based child care: A case for differential susceptibility. Child: Care Health & Development, 38, 251–260.
Montessori, M. (1999). La mente del bambino. Milano: Garzanti Libri.
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